Ho rielaborato il testo originale in quanto carico di errori e con una sintassi difficile da comprendere per un lettore che non sia pratico di cose militari e dei luoghi che il manoscritto descrive e racconta.
L'autore, Viano Giuseppe si lamenta infine di non essere creduto in Australia dove viveva, ma a parte pochissime inesattezze sia gli avvenimenti le date, le località coincidono con i fatti accaduti nel Grappa e nel Piave. Ritengo quindi che questo documento sia fortemente attendibile. Sia nella descrizione della vita dei soldati con i continui avvicendamenti in prima linea sia nel racconto sulla battaglia del Solstizio a cui ha partecipato in prima linea e sia sulla battaglia offensiva sul Piave con la rincorsa sulle truppe austriache in ritirata.
Trovo particolarmente interessante il posizionamento sul fiume Drava, non ero al corrente che gli Italiani si fossero spinti così in profondità in territorio Balcano subito all'indomani dell'armistizio. I Balcani facevano inizialmente parte dell'accordo con gli Inglesi ed i Francesi per l'entrata in guerra dell'Italia, ma non ero al corrente che reparti Italiani si fossero spinti fino ai confini con la Serbia subito dopo l'armistizio. In effetti pensandoci bene la storia potrebbe essere plausibile in quanto poi gli Italiani ruppero i negoziati di pace proprio perché non si volle mantenere la parola data e quindi vedi il ritiro del reparto nuovamente a Gorizia.
Per rendere il racconto più piacevole l'ho in parte modificato mantenendo integro tutto l'impianto descrittivo e cercando di ampliare ed evidenziare i sentimenti personali dei protagonisti soprattutto nelle concitate fasi dei combattimenti.
Carlo Grigolon
Ingham 23-2-1972
Eccoci qua oggi è una giornata piovosa e cosa c'è di meglio di ricordare fatti che oramai sono lontani nel tempo ma che sento sempre vivi nella mia memoria. Buona parte della mia vita è passata e sento l'esigenza di scrivere quanto ho vissuto durante la grande guerra affinché queste memorie rimangano quale testimonianza viva e vissuta.
Queste le mie memorie della vita militare che non ho mai dimenticato. Siamo nel 1917, Pasquale e Felice miei fratelli sono uno prigioniero e l'altro nei carabinieri. Potete quindi immaginare quale fosse il morale della famiglia e il mio stato d'animo nell'attesa della mia sicura chiamata alle armi. Arriva il giorno fatidico e la mia destinazione è a Santo Stefano di Mondovì. A Mondovì ci troviamo in 105 reclute e veniamo destinate 100 in fanteria 2 in artiglieria da montagna e 3 negli alpini. Io sono destinato al 53° fanteria a Vercelli.
Arrivato a Vercelli trovo una buona caserma accogliente e ordinata, la caserma però scoppiava eravamo in tantissimi oltre a noi della fanteria c'erano la cavallerie e anche l'artiglieria eravamo come le formiche, quanto uscivamo per le contrade di Mondovì erano talmente piene di soldati che quasi non si poteva camminare. A Mondovì sono stato per poche settimane, poi ci mandarono al campo a Sala Biellese lì abbiamo cominciato a comprendere cos'era veramente la vita militare. La disciplina era enormemente aumentata, ci facevano marciare quasi tutti i giorni carichi con zaino fucile e materiali, sembrava essere diventati quasi delle bestie da soma e non più dei cristiani. Alla sera eravamo sempre stanchi e andavamo a dormire sfiniti.
Come tutte le cose anche il campo a Sala Biellese finì e una volta tornati a Vercelli ci sentivamo diversi ci sentivamo di aver fatto un passo avanti e di essere diventati dei soldati. Dopo una settimana a Vercelli ci comunicano che la caserma era troppo piena e così decidono di mandare una compagnia in distaccamento a Torino Vercellese, la compagnia che distaccarono era proprio la mia e quindi mi trasferii con i miei compagni in questa nuova destinazione.
A Torino Vercellese ci si trovava bene era una piccola caserma, non c'erano tanti ufficiali da salutare ed avevamo una comoda sistemazione. Unico difetto di Torino V. era che eravamo dispersi in mezzo alle risaie e c'era solo riso e ancora riso da vedere, la vita era quindi molto noiosa in quanto ci si sentiva senza alcun scopo. In questa situazione si inizia a pensare alle cose tristi e la nostalgia ti assale. I pensieri cominciano ad essere pericolosi del tipo "sabato quasi quasi scappo a casa e vada come vada qualsiasi cosa capiti sempre meglio che rimanere qui a morire d'inedia". Questi pensieri erano nella mente di tutti e a parole si esprimevano e si progettavano fughe e quant'altro, soprattutto quelli che erano più vicini a casa e in poche settimane la prigione si riempì di fuggitivi che venivano presi alla stazione ferroviaria. La prigione non era propriamente una prigione in quanto era una stanza che utilizzavamo per la didattica e per necessità adattata a tale scopo, in ogni caso prigione era in quanto si era chiusi a chiave e non si poteva uscire.
Nonostante cercassi di non ascoltare i pensieri cattivi che affollavano la mia mente, finii anch'io in prigione accomunato ai miei compagni per gli stessi motivi. Eravamo chiusi e non si poteva uscire, ma da buoni camerati passavamo le giornate parlando e scherzando come se nulla fosse.
Tutto questo naturalmente un giorno dovette finire, arriva all'improvviso un ordine dal reggimento in cui si richiedevano 40 soldati per un'ignota destinazione. Il maggiore comandante del distaccamento si presenta da noi ridendo, sembrava avesse vinto la lotteria, fece aprire la prigione e poi ci fece chiamare tutti quanti, ci fece mettere in fila e beffardamente ci comunica "finalmente è giunto il momento di pulire questa compagnia da tutti i mascalzoni senza disciplina, di quelli che credono di fare quello che vogliono e si fanno beffe della disciplina. Ora è arrivato il vostro turno e se verrete assegnati ad incarichi gravosi e finite in brutti posti non vi compiangerò perché avrete quello che vi siete meritati e imparerete con il sacrificio a fare il vostro dovere, ora versate le armi e lei sergente con due soldati li accompagni a destinazione".
Fece seguito un silenzio di tomba, dopo questo discorso nessuno aveva il coraggio di sorridere, gli occhi erano bassi e tutti noi avevamo paura della nostra futura destinazione, in ogni caso bisognava accettare e prendere quello che sarebbe successo con un fatalismo da buon soldato che oramai avevamo imparato ad accettare.
Salimmo in un trenino, un trenino piccolo a scartamento ridotto come quello che viene utilizzato qui per trasportare la canna e il riso. Si parte e in breve arriviamo a Vercelli alle ore 4 del pomeriggio in tempo per la libera uscita. Mentre camminavamo tutti assieme per trasferirsi dalla stazione alla caserma incrociamo un vecchio sergente che parlava con un altro sergente più o meno della stessa età e senza volerlo sento la loro discussione e capisco che stavano parlando di noi, questo quanto sono riuscito a sentire "... bisogna essere fortunati, ci sono persone che nascono fortunate, vedi questi soldati, vanno a lavorare in campagna in quanto hanno richiesto della manodopera urgente". Stentavo a credere quello che avevo sentito e non ne feci parola con i miei compagni in quanto ero quasi convinto fosse uno scherzo, ma sotto sotto ci speravo e quindi il mio umore era notevolmente migliorato.
Arriviamo in caserma, con i consueti modi soldateschi ci portano all'ultimo piano della costruzione e ci dicono "arrangiatevi e sistematevi come volete". Non c'erano brande e quindi ci siamo sistemati alla bene meglio, io mi sono sistemato per terra con lo zaino sotto la testa e così ho passato la notte con i miei compagni.
L'indomani sveglia una veloce tazza di caffè come colazione e tutti in adunata in fila in cortile. Arriva lo stesso sergente che avevo incrociato il giorno prima (non vi dico la mia attesa nella speranza che quello che avevo sentito il giorno prima fosse vero) ci passa in rassegna, ci chiede e si scrive i nostri nomi, seguivano il sergente degli aiutanti che ci davano tutte le divise nuove e il materiale di dotazione. Finita la consegna dei materiali che portammo nella nostra camerata, scendemmo nuovamente nel cortile nuovamente in fila e il sergente comincia a parlare: "Abbiamo bisogno di uomini per dei lavori urgenti da effettuare nei campi, e quindi cominciò a chiamare 10 uomini per Bandinara chi vuole andare chiedeva" e così via..... Arrivammo alla fine e ci chiamano io e altri tre tutti amici per Germano Vercellese ad imballare il fieno.
Ed eccoci qua passati dalla paura di essere assegnati al fronte alla contentezza di essere presso una famiglia di contadini, tutta brava gente ci davano il riso da mangiare, mangiavamo con loro e ci trattavano come figli. Eravamo orami negli ultimi mesi del 1917 e si sentivano brutte voci, i giornali parlavano di ritirata, si vedevano movimenti strani di truppe, non si capiva bene la situazione era tutto anche da parte dei giornali mal spiegato e le notizie erano con il contagocce. Unica certezza che faceva capire che le cose non stavano andando bene era l'intenso traffico di treni era continuo, treni che passavano uno dietro l'altro a brevissima distanza e che andavano verso est.
Qualche giorno dopo un maresciallo dei carabinieri ci viene ad ordinare di rientrare immediatamente a Vercelli. Partiamo immediatamente e arriviamo in breve a Vercelli, non credevo ai miei occhi, non c'era più neanche un soldato, tutti al fronte. Noi veniamo subito utilizzati e messi di guardia fissa alla caserma Umberto I (la caserma del "trombone") presso il ponte della Sesia. I turni erano continui e massacranti 2 ore di guardia e 4 di riposo. Ogni due settimane venivamo cambiati di posto e così passammo tutto l'inverno e ci ritenemmo fortunatissimi in quanto i nostri compagni al fronte soffrivano tutti i santi giorni e friggevano continuamente passando dalla padella alla brace.
Pensavo allora quale fortuna avevo avuto, così il tempo passava, la compagnia deposito di Vercelli cominciò a riempirsi di soldati, feriti, malati che non erano abili per il fronte, venivano tutti li così alla fine di febbraio eravamo oltre 300 persone. A questo punto non eravamo più di guardia fissa e continuata, il passeggio era diventata la nostra principale attività, la disciplina non esisteva, ufficiali non c'erano, comandava tutto il furiere. In caserma serpeggiava l'anarchia si faceva un po' quello che si voleva e si tirava avanti benissimo.
Arrivammo così fino al 20 marzo e il furiere ci consiglio in special modo a noi del '99 di andare a fare il corso mitraglieri fiat "il corso dura 4 settimane e così tirate avanti tutto tempo guadagnato, qui non resterete ancora molto con il bisogno di uomini che hanno al fronte, pensateci e venite in fureria a fare le carte". Così feci e seguendo il suo consiglio io e parecchi altri camerati della mia stessa età dopo averne a lungo parlato, andammo a Lodi.